L’esilio della memoria

Napoli, interno, notte

Ci siamo ritrovati a Barcellona dopo tre anni. “Ti presento la mia città” mi hai detto, quando ti ho abbracciato in aeroporto sotto una scultura ipertrofica di Botero. Siamo saliti su un autobus blu diretti al centro. La mia curiosità, che cercava di cogliere nuovi elementi della tua persona, ha aggiornato la tua vita sconosciuta. Le tue flâneries notturne mi hanno introdotto alla città, nella quale ho riconosciuto i luoghi che avevo immaginato grazie alle nostre conversazioni telefoniche. Mi hai dato in prestito i tuoi occhiali per capire il senso del tuo abitare: un palazzo modernista del quartiere popolare di Gracia diventa un oggetto che riflette un tuo modo di vedere la realtà; il tuo bar preferito è un cafè improvvisato in un vecchio cortile, al quale si accede, attraversando un giardino ricco di aranci e silenzio.
In maniera tassonomica ho catalogato i pezzi che compongono la tua giornata: ho capito le tue priorità, ho vissuto i tuoi giri, ho analizzato le tue nuove passioni, ho visitato le tue librerie. È come se le singole parti del tuo corpo avessero preso la forma di questi luoghi, perché senti che ti appartengono.
Percepisco nel tuo volto disteso la serenità di chi ha trovato lo spazio per ricostruirsi, rinunciando a una parte importante di sé. La tua conquista però continene il peso della tua assenza. In questo momento storico tu non esisti né per Napoli né per l’Italia. L’esilio ha fatto sì che il potere del tuo corpo si autosospendesse dalla tua realtà originaria. Un corpo in meno in piazza significa una voce mancante, un colore morto tra la folla.
Il giorno nel quale mi dicesti che saresti partito con un biglietto di sola andata è rimasto privo di spiegazione, come un pensiero che stenta a trovare un significato.
È strano, ma adesso che ti scrivo mi rendo conto che hai messo in atto una dimenticanza forzata, nella quale le tue parole hanno sfogliato e chiuso rapidamente il libro della memoria. Quelle notti nelle quali abbiamo parlato sono trascorse come se nulla accadesse, al di là di quel mare che ci separa e paradossalmente ci unisce. Il tempo della tua neostoria ha sequestrato un passato, rimuovendolo definitivamente. L’annullamento del tuo passato ha concepito la morte del tuo corpo e di tutti quelli che a trenta anni sono stati deportati, come in una grande diaspora, nell’Europa delle opportunità e della moneta forte. Un esilio di massa nel quale quelle vite hanno ricostruito un pezzo di esistenza decente. Adesso però è il passato di queste vite a sentirsi in esilio. Napoli non è più tua. Tu rappresenti l’ennesimo che ha lasciato una parte di sé, che ha mozzato violentemente quel rapporto antico e indicibile con la sua terra. Il tuo andar via nutre la responsabilità di lasciare i nostri padri liberi, per l’ennesima volta, di adottare un potere forte. I Nostri Padri ci hanno educato alla insolenza, alla rimozione del marcio, all’uso costante di queste modalità oscene che rasentano un’irreparabile meschinità.
Nel frattempo, anche la città che ti ha adottato, nonostante ostenti un’immagine di progresso, si è lasciata invadere da un capitale corrotto, frutto del commercio della cocaina e della speculazione edilizia gestita dalla camorra.
Ricordi quando partisti l’ultima volta da qui? Eri angosciato perché dicevi che avresti lasciato i tuoi affetti a “crepare nella mondezza” e nella perenne sensazione di malattia. Credo che questo sia il prezzo da pagare per aver scelto la fuga. A riguardo non ti considero fortunato. Al contrario, credo che tu sia stato privato di un mondo che ti appartiene, mentre prendo atto che al disfacimento di questi luoghi, si aggiunge una lotta tra il desiderio di sforzarsi per cambiare e un’esasperazione che spesso si converte in rassegnazione.
Mi domando se quella città di porto ti offrirà l’opportunità di riflettere su come la tua identità sia stata assassinata. Restaci! Ti chiederai, come avrebbe detto un personaggio di un film, se sarai stato capace di uccidere i mostri che ti hanno governato. Io nel frattempo sto qui, a Napoli, meditando su una possibilità, su una speranza di guarigione, consapevole che la tua presenza, per adesso, è parte del passato.
Tuo esiliato in Patria.

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