La puntata di Blob di domenica aveva forse un titolo: né al cielo. Blob è un programma “fatto da” Enrico Ghezzi che lo riconosci subito perché, in alto a sinistra, compare una scritta in sovrimpressione, sempre diversa, sempre geniale. Ormai storica la “fascia protetta”, la sequenza di estratti televisivi dedicati esclusivamente al pecoreccio mediatico, al debordare di tette e natiche, alla messa in onda di un meretricio non solo metaforico, di una gestualità da battona con tutto il rispetto per le battone che almeno loro un mestiere ce l’hanno e lo sanno fare.
Domenica, comunque, la scritta in alto a sinistra diceva né al cielo. De Andrè, ovviamente, era il protagonista nonché il lucido interprete di una realtà che ancor oggi la si può leggere e interpretare attraverso le parole di una canzone di più di vent’anni fa.
La realtà è quella della guerra in Libano, la canzone è Sidun, Sidone. Nel filmato trasmesso da Blob, De Andrè spiega chi è e cosa rappresenta Sidone, “un uomo arabo di mezz’età, sporco, disperato, sicuramente povero” che si aggira per una città che brucia, ch’a brûxa. Sidone è questa città, la città-madre che nel pieno dell’invasione Israeliana guidata da Ariel Sharon, stringe a sé “il proprio figlio macinato dai cingoli di un carro armato”, oua grûmmu de sangue ouëge e denti de laete.
Ariel Sharon era il leader dell’ala destra del Likud, ed era considerato, un po’ superficialmente, lo storico avversario di Ehud Barak, allora a capo del Partito Laburista. Infatti nel 1982, nell’imminenza dell’invasione ai danni del Libano, Barak scrisse un memorandum per il generale Sharon (il presunto avversario) per invitarlo ad estendere il raggio dell’azione militare così da coinvolgere anche la Siria. Per la precisione, perché sarebbe un peccato privarvi delle sue parole, Barak scriveva: “Al momento non esiste consenso popolare nei confronti di un’operazione contro i Siriani, fatta eccezione per un’eventuale risposta ad attacchi terroristici. Di conseguenza, è possibile ottenere l’appoggio dell’opinione pubblica solo portando avanti l’operazione in determinate condizioni, come in seguito ad un’azione terroristica che provochi molte perdite o a un attacco con missili Katiusha contro la Galilea”. Il memorandum di Barak si conclude proponendo di “provocare in modo indiretto una serie di avvenimenti che giustificherebbero un attacco antiterroristico”… e i euggi di surdatti chen arraggë cu’a scciûmma a bucca.
Nel servizio di Blob De Andrè dice anche che “Sidone è la città libanese che ci ha regalato oltre all’uso delle lettere dell’alfabeto anche l’invenzione del vetro”. Poi, con una presa di posizione che oggi farebbe cadere un governo, aggiunge: “La piccola morte a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea”.
Nel giugno 1982 Israele, che in fatto di civiltà non si fa certo dare lezione dai Fenici, invade militarmente il Libano, un paese colpevole di essere al contempo sede principale dell’OLP e rifugio della guerriglia palestinese. Per due mesi Beirut viene posta sotto assedio. Perfino gli Stati Uniti prendono le distanze da un’operazione militare contro la quale il governo libanese non ha né strumenti politici né mezzi militari per opporsi.
Si tenta allora la strada della mediazione. Il concordato – raggiunto con l’intervento della diplomazia americana – prevede, fra l’altro, la rinuncia di Israele ad invadere la parte occidentale (musulmana) della capitale. Tutto sembra filare liscio, l’evacuazione da Beirut dei combattenti palestinesi e degli appartenenti all’OLP (fra cui Arafat) procede senza intoppo. Almeno fino al giorno in cui il neoeletto presidente Libanese Gemayel (figura molto gradita ad Israele) viene assassinato. È il pretesto tanto atteso: viene immediatamente invasa la parte occidentale della città.
Due giorni dopo, nei campi profughi di Sabra e Shatila – sotto controllo militare israeliano – la falange cristiana (sic!) di Gemayel trucida con violenza inaudita almeno 800 civili, in maggioranza donne e bambini palestinesi. I soldati israeliani restano a guardare, assistono al massacro senza muovere un dito. Cacciuéi de baë a scurrï a gente cumme selvaggin-a finch’u sangue sarvaegu nu gh’à smurtau a qué…
Ed oggi i soldati Italiani guidano le operazioni di pìs kipin’ in Libano, la bella eredità dei “bombardieri su Beirut”. Dall’82 niente di nuovo sotto il sole, l’ereditaë l’è ascusa ‘nte sta çittaë ch’a brûxa ch’a brûxa.
