Leggo per la prima volta il nome di Anna Achmàtova in una biografia di Modigliani scritta da Santini. Si sono conosciuti nel 1910, durante il viaggio di nozze di lei, novella sposa del poeta Nikolaj Stepanovič Gumilëv. L’anno dopo Anna e Amedeo diventano amanti. Per breve tempo. Lei scriverà:
Mi diverte quando sei ubriaco
e nelle tue storie non c’è senso.
Un autunno precoce ha sparpagliato
gialli stendardi sugli olmi.
Succede che un giorno Anna va da Amedeo ma non lo trova in casa. La porta del laboratorio è chiusa. Ha portato per lui un mazzo di rose rosse e, vedendo aperta una finestra dell’atelier, le lancia dentro una per volta. Quando si incontrano Amedeo le chiede come ha fatto ad entrare senza le chiavi. Lei spiega. Lui dice: non è possibile, erano sparse per terra così bene!
La Achmàtova inizia a pubblicare l’anno seguente, un volume di versi intitolato “La sera”, trecento esemplari in tutto.
Nel 1918 divorzia da Gumilëv, dal quale ha avuto un figlio, Lev. In quello stesso periodo si consuma la fuga di molti intellettuali russi all’estero. Anna è consapevole delle difficoltà alle quali andrà incontro ma rifiuta di scappare. Nel 1921 Gumilëv viene fucilato con l’accusa di attività controrivoluzionaria. Le liriche che scrive durante questo periodo, confluite in “Piantaggine” e “Anno Domini MCMXXI”, le costano la scomunica della critica ufficiale. I suoi libri non si stampano più, le sue poesie non si possono leggere.
Nel 1934 si svolge il primo congresso dell’ Unione degli Scrittori Sovietici. Il realismo socialista, infine, diviene la sola dottrina estetica ammessa. Tutto il resto è oggetto di repressione. Ne pagano le conseguenze poeti non allineati come Mandel’štam (al quale la Achmatova è legata da un antico sodalizio), Babel’, Kljuev… A Mandel’štam Anna dedica i versi di “Voronez”.
C’è del coraggio in questa donna. Dell’ostinazione. Attrae su di sé le ire della polizia sovietica. Non solo su di sé. Per la seconda volta viene arrestato il figlio Lev con l’accusa è di ostilità al regime. La condanna, poi commutata in deportazione, è la pena capitale. Stessa sorte tocca a Mandel’štam, il quale però non sfugge alla morte in un lager di Vladivostok.
In quel periodo Anna lavora ad un ciclo di poesie, “Requiem”. Nell’impossibilità di pubblicarlo e nel timore che, una volta trascritto, possa essere scoperto dalla polizia (e quindi distrutto), Anna ed alcune sue amiche lo imparano a memoria. “Requiem” verrà stampato in Germania nel 1963 ed in Unione Sovietica solo nel 1987. La Novyj Mir, alla quale ha affidato la raccolta nel 1962, non la pubblica.
Comunque nel 1945 riesce di nuovo a fare incazzare la polizia politica. Ospita nel suo appartamento di Leningrado, per una notte soltanto (quella del 25 novembre), il primo segretario dell’ambasciata inglese Isaiah Berlin, un ebreo di origine russa affermatosi come filosofo e storico del pensiero liberale ma, soprattutto, amico degli odiatissimi Eizenstein e Pasternak. Il regime, prima ancora che la vicenda diventi di pubblico dominio, ne è già informato. Da tempo, infatti, un agente del KGB spia i suoi movimenti, redige dettagliati dossier. La cosa stupefacente è che fra le tante descrizioni lette della Achmàtova quella dell’agente russo è senza dubbio la più lucida e fedele:
“Di conoscenti l’Achmàtova ne ha molti, ma di amici stretti no. Per natura è buona e tende a sprecare, quando ha denaro, ma interiormente è fredda e superba. Ha un egoismo infantile. Per quanto concerne la vita quotidiana, è per lo più indifesa: rammendare una calza è un compito insolubile, e cuocere le patate è già un’impresa per lei. Nonostante la sua grande fama è molto timida. Cerca di non compromettersi politicamente, è orgogliosa che Stalin si sia già interessato a lei. È completamente russa. Non ha mai sconfessato i suoi sentimenti nazionali. Per le sue poesie non fa trattative con le redazioni. Detesta la casa degli scrittori e la considera un mucchio di mostruosi intriganti. Regge bene l’alcol, sia vino che vodka”.
L’immagine di Anna che tenta di rammendare una calza o di lessare delle patate è semplicemente geniale. L’Achmatova, la grande poetessa, non può avere niente a che spartire con l’economia domestica. L’Achmatova, la grande poetessa, nel 1950 – allo scopo di salvare il figlio da morte certa – dedica a Stalin un ciclo di quindici poesie, “Slava Miru”. Cioè “Gloria alla pace”. Gloria alla pace… per Stalin! Adesso, leggendo quel che c’è scritto nel dossier, mi viene il dubbio che si tratti di una presa per il culo, la presa per il culo di una donna completamente russa che regge bene l’alcol, sia vino che vodka.
Mi diverte quando sei ubriacA
e nelle tue storie non c’è senso.
Un autunno precoce ha sparpagliato
gialli stendardi sugli olmi.
Mauro Orletti
