L’alce ubriaco

Negli ultimi vent’anni si sono moltiplicati i casi di alci con strani comportamenti attribuiti a una presunta ubriachezza. Un “allarme alci”, ad esempio, è stato diramato nel sud della Norvegia nel 2002: dopo un’estate insolitamente calda, la frutta fermentata avrebbe contribuito a intossicare parecchi esemplari. Nel 2005, nell’area di Sibbhult, in Svezia, un’alce femmina e il suo cucciolo hanno invaso il giardino di una casa di riposo. Nessun dubbio per lo staff: il consumo di mele fermentate avrebbe indotto nei due animali uno stato di ebrezza. Nel 2007, ad Anchorage, in Alaska, un alce sarebbe rimasto impigliato alle luci di Natale a causa dell’alcol ingerito da mele fermentate. Nel 2011, a Göteborg, una femmina di alce è finita intrappolata in un melo: testimoni e giornalisti accorsi per documentare il fatto avrebbero parlato di ubriachezza molesta. Nel 2013, a Värmdö, vicino Stoccolma, un gruppo di alci, quattro adulti e un cucciolo, hanno impedito a un residente della zona di rientrare in casa. I verbali della polizia avrebbero segnalato alci “alterati” da frutta fermentata. Anche la Russia vanta presunti casi di alci ubriachi: nel 2014, dopo aver mangiato bacche fermentate, un esemplare adulto avrebbe vagato per la città di Semenov cadendo alla fine, del tutto involontariamente, in uno stagno.

Uno studio intitolato The evolutionary ecology of ethanol condotto da Anna C. Bowland, Amanda D. Melin, David J. Hosken, Kimberley J. Hockings e Matthew A. Carrigan e pubblicato su “Trends in Ecology & Evolution” (gennaio 2025, Vol. 40, No. 1), ha approfondito il tema del consumo di alcol in natura concludendo che, sebbene siano molti gli animali che comunemente lo ingeriscono (ad esempio moscerini, vespe, coleotteri, farfalle, api, colibrì, pipistrelli, criceti, alcune specie di uccelli nonché primati selvatici come le scimmie ragno e gli scimpanzé), gli aneddoti su grandi mammiferi intossicati dal consumo di etanolo sono per lo più leggendari, non confermati da alcuna prova scientifica o misurazione di laboratorio. D’altronde, si legge ancora nello studio, non sono pochi i vertebrati che hanno imparato ad assumere alcol direttamente dagli uomini.

Così è stato, ad esempio, per l’alce domestico dell’astronomo Tycho Brahe. Figlio di una nobile famiglia danese, Tycho nasce a Knudstrup, nella regione di Scania, nel 1564. A quell’epoca il territorio fa parte del regno di Danimarca. L’istruzione del giovane Tycho viene finanziata dallo zio Jørgen Brahe, che lo manda a studiare nelle più importanti università del Nordeuropa: prima Copenhagen, poi Lipsia, Wittenberg, Rostock, Basilea e Augusta. Sono gli anni della tempesta culturale e religiosa provocata dalla riforma luterana e dalla controriforma cattolica. Ma Tycho, dopo aver assistito all’eclissi solare del 1560, indirizza i suoi interessi verso l’astronomia, preferendo occuparsi dei moti celesti anziché di quelli politici e religiosi. È un ragazzo stravagante, insofferente all’autorità, irreparabilmente attratto dagli straordinari effetti prodotti dalle nuove tendenze sperimentali sulla tradizione aristotelica. L’astronomia non è roba da palazzo e Tycho, giovane rampollo della nobiltà danese, è destinato a una carriera da funzionario pubblico. Per evitarla si dedica, di nascosto dalla famiglia, all’osservazione rigorosa, a misurazioni accuratissime e a calcoli matematici: strumenti perfetti con cui penetrare i misteri delle stelle.

È un ragazzo brillante, ma eccentrico, passionale e collerico. Il 10 dicembre 1566, durante una festa a casa del teologo luterano Lucas Bachmeister, litiga con un altro studente (che è anche un suo cugino alla lontana), Manderup Parsberg, a quanto pare per un disputa matematica. Il 27 dicembre i due giovani si scontrano di nuovo e i toni, forse a causa dell’alcol, vanno oltre l’accettabile. Un paio di giorni dopo, a Rostock, Tycho e Manderup incrociano le spade. Il duello, fra l’altro, si svolge al buio e Manderup, grazie a un fendente menato alla cieca, ha la meglio: colpisce l’avversario al volto e gli asporta una porzione di naso. Da allora Tycho è costretto a portare con sé una scatolina contenente pasta collosa. Con quella attacca al viso una protesi nasale di metallo: oro o, più probabilmente, ottone.

L’11 novembre 1572 il naso metallico di Tycho è rivolto all’insù. Deve fare un certo effetto vederlo brillare alla luce della luna e della nuova, luminosissima stella, apparsa nella costellazione di Cassiopea. Prima di saltare a conclusioni affrettate ne misura la parallasse e nota che non si sposta rispetto agli altri corpi celesti, quindi non è un fenomeno atmosferico. Quella luce, infatti, proviene da oltre la luna, dove si trovano le stelle fisse. È una rivoluzione epocale e dimostra l’inimmaginabile: Aristotele si sbagliava, il cielo non è per nulla eterno, immutabile e perfetto. E lo mette nero su bianco, nel trattato De Nova et Nullius Aevi Memoria Prius Visa Stella: «Concludo, dunque, che questa stella non è una specie di cometa o di meteora infuocata, sia nata sotto la luna o sopra: ma una stella splendente nel firmamento stesso, una che non è stata mai vista prima, in nessuna epoca dall’inizio del mondo prima dei nostri tempi».

Federico II di Danimarca è conquistato dal lavoro di Tycho che, oltretutto, è il nipote di Jørgen Brahe, uno degli eroi della prima battaglia di Öland, in cui viene affondato il vascello svedese Mars, noto anche come l’Impareggiabile. Jørgen Brahe è amico fidato e compagno di bevute del re. Al termine di una notte brava, non esita a tuffarsi in un canale di Copenaghen dopo che Federico II finisce accidentalmente in acqua. L’impresa gli costa una polmonite fulminante e la morte. L’alcol, come vedremo, è un vizio della famiglia Brahe.

Per dimostrare la propria stima nei confronti del giovane e la riconoscenza della Danimarca verso la famiglia, il sovrano concede a Tycho l’intera isola di Hven e una cospicua rendita. Lì, nel 1576, ha inizio la costruzione di “Uraniborg”, letteralmente “Il castello dei cieli”, luogo partorito dalle fantasticazioni di Tycho. Sfogliando il suo Epistolum astronomicarum libri, del 1596, si può vedere una magnifica illustrazione dell’edificio.Saloni, scale, guglie, terrazze e torri progettate per esaltare la bellezza fiabesca del castello. Una vera cittadella scientifica nonché osservatorio astronomico, fabbrica di strumenti perfetti, laboratorio per la realizzazione di giganteschi quadranti e meridiane. E poi: biblioteca, stamperia, residenza per astronomi, matematici e alchimisti. Il “castello dei cieli” viene anche circondato da un magnifico giardino rinascimentale ricco di piante medicinali, erbe aromatiche, frutteti,fiori ornamentali. All’interno del giardino è libero di muoversi un alce addomesticato, eccezionalmente docile, che Tycho sceglie come animale da compagnia. Con lui l’astronomo si gode lunghe passeggiate all’aria aperta e memorabili bevute di birra. Il luppolo, evidentemente, aiuta l’alce a sopire gli istinti naturali, ad esempio quelli che, stagionalmente, lo porterebbe a riunirsi al branco per migrare dai pascoli estivi verso le zone temperate delle valli.

Nel periodo a cavallo fra il 1590 e il 1591 il Langravio Guglielmo IV d’Assia-Kassel, anch’egli appassionato studioso di astronomia, scrive a Tycho chiedendo informazioni sull’alce di cui ha molto sentito parlare. Alla fine del XVI secolo, in Assia, l’alce è un animale praticamente estinto, perciò è normale che Guglielmo non ne abbia mai visto un esemplare. Tycho, che qualche anno prima aveva lavorato alla corte del Langravio, non è insensibile alla richiesta ma, per poter organizzare il trasporto dell’animale verso Kassel, deve aspettare che gli venga restituito dall’amministratore di Landskrona, Jørgen Ottesen Brahe, un parente alla lontana che ha anticipato la richiesta di Guglielmo. La restituzione, però, non avviene poiché l’alce approfitta di un banchetto per scolarsi un intero barile di birra. Poi, scendendo le scale, perde l’equilibrio, scivola rovinosamente e si rompe una gamba. Muore di lì a poco.

La possibilità che un alce, sotto i fumi dell’alcol, rimanga impigliata in addobbi natalizi, finisca intrappolata in un melo, oppure cada involontariamente in uno stagno o lungo la scalinata di un palazzo spiega perfettamente la scelta di Tycho di averne uno nel giardino di Uraniborg. Anche perché lo stesso Tycho, frequentatore assiduo di banchetti, è noto per la sua propensione al bere. Propensione che, secondo alcune fonti, gli sarà fatale. Dopo la morte di Federico II, è costretto a trasferirsi a Praga alla corte di Rodolfo II. Qui, il 13 ottobre 1601, partecipa ad un banchetto. Beve molto, come suo solito, e deve andare in bagno. Ma abbandonare il tavolo prima della fine della serata gli sembra una scortesia inaccettabile. Paga le buone maniere con la rottura della vescica, che in breve tempo, lo porta alla morte.

Mauro Orletti

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