Tranne uno

Storia naturale dei miei avi (Exòrma, 2024) è il resoconto di un’improbabile, (sebbene effettiva) indagine genealogica condotta per le valli dell’appennino modenese da un bislacco abitante della pianura: Grammi. A bordo di una sgangheratissima utilitaria, aiutato da parroci decrepiti e carrozzieri un po’ burberi, il sig. Grammi scartabella registri macilenti, elenchi indecifrabili, atti scoloriti alle ricerca di (seppur labili) tracce dei propri antenati. E alla fine, per quanto faticosamente, sarà in grado di ricostruire l’albero genealogico di famiglia. Una famiglia composta, per la gran parte, da miserabili, anzi “miserabilissimi”, spesso decimati da epidemie di colera e carestie.

Il libro scritto da Gianfranco Mammi ha un sottotitolo molto azzeccato: Tutti povera gente tranne uno. In effetti, pagina dopo pagina, appare sempre più evidente che la famiglia Grammi, fin dai tempi antichi, non è riuscita a scrollarsi di dosso un destino di povertà. Ogni indizio è la dimostrazione di un’atavica refrattarietà alla fortuna: malattie, colpi avversi, morti precoci, rovesci economici. Ogni possibile disgrazia si abbatte sulla stirpe – senza mai estinguerla – a partire dal capostipite, che nel 1474 subisce il primo pignoramento. Di questo fatto il Grammi della pianura un po’ si sorprende, un po’ si consola. È tutto sommato contento di appartenere a una stirpe negletta, quasi rivendicasse tutti gli inciampi e le cadute, quasi intuisse l’indissolubile legame fra condizione esistenziale e capacità di rimanere lucidi e, al tempo stesso, divertenti. Di conseguenza diffida apertamente dell’umanità, e di un mondo contemporaneo a dir poco inesplicabile.

Attraverso la consultazione di registri, elenchi, documenti storici, anche il lettore ha l’impressione di poter ricostruire e comprendere un pezzetto di storia passata. Da un singolo oggetto, da un libro o una fotografia, dal racconto di una battaglia, dal dettaglio di un quadro o dalle parole utilizzate in un testamento, Mammi fa emergere vicende dimenticate, esistenze passate, la vita di una comunità. Non in modo oggettivo, magari, ma comunque attendibile. Sicché, a dispetto di carestie, morti premature e pignoramenti, più d’un Grammi potrebbe aver avuto un’esistenza tutto sommato desiderabile. Lo stesso protagonista, a un certo punto, appare talmente in pace con sé stesso e con il proprio angolo di mondo, da apparire assai più fortunato delle persone da cui è circondato.

Non parlerei di nostalgia, termine che – fors’anche ingiustamente – nasconde trappole d’ogni tipo, però mi sentirei di dire che al Grammi, ogni tanto, vengono delle malinconie. Allora si lamenta del freddo dei borghetti di montagna, della fatica di dover copiare a mano (se non è permesso scattare foto col cellulare), del disordine o dell’approssimazione della burocrazia analogica. Eppure, sotto sotto, nutre un po’ di rimpianto per un certo modo di concepire il tempo, per la semplicità con cui si potrebbero vivere i rapporti umani, per l’auspicabile assenza di sovrastrutture emotive e la possibilità di accontentarsi e godere di quel che si ha: foss’anche una genìa di disperati.

Tutti poveri tranne uno.

Mauro Orletti

[Gianfranco Mammi, Storia naturale dei miei avi, Exòrma 2024]

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