Il capitalismo…

…DA CORSO SECONDIGLIANO A UOMINI E DONNE

La domenica pomeriggio, a corso Secondigliano, comincia lo struscio. All’apparenza è uno struscio come tanti, fatto di vasche inequivocabili e andate e ritorni sempre uguali. Ricorda quello che da ragazzino facevo con gli amici sul lungomare di una località del litorale domizio, in cerca di qualche donzella.
Lo struscio di corso Secondigliano tenta, senza riuscirci, di somigliare a quello delle località balneari e del paesello in festa. Tralasciando l’estetica deprimente di alcuni palazzi, dei negozi chiusi, dei centri scommesse in fermento, e il fatto che stiamo parlando di Secondigliano, il punto è che le vasche non sono proprio vasche, ma qualcosa di diverso.
Corso Secondigliano si estende all’incirca per due chilometri e mezzo, da Piazza Giuseppe di Vittorio al Quadrivio di Secondigliano. Per la sua natura quasi esclusivamente commerciale, la domenica è tutto chiuso. C’è quindi ben poco della messa di bancarelle, negozi e fermento delle vacanze al mare e, diversamente dal paesello in festa, non ha nemmeno un centro nel quale confluire e intorno al quale fare la spola. Senza negozi, senza mare, piazza principale e santo patrono da omaggiare, corso Secondigliano è una vasca unica che non varrebbe la pena percorrere per intero, se il potere di Eros non fosse così irresistibile da trasformare quell’asettico vagabondaggio in un acquario di relazioni sociali.
Il canovaccio è più o meno il seguente: ragazze nuotano in una zona circoscritta dei due chilometri e mezzo, fermandosi a scherzare con la prima coppia di ragazzi in scooter che le avvicina. E così via, di scooter in scooter, di scherzo in scherzo. L’elemento che balza agli occhi immediatamente è l’abbigliamento appariscente, talvolta di pessima qualità, altre della migliore. Poi ci sono gli scooter, già. Un secondo elemento di forte caratterizzazione del fenomeno consiste nell’astensione dei maschi dal solcare la strada a piedi. È uno struscio di nuova concezione, motorizzato, rapido, a due corsie. Riducendo i tempi di percorrenza della grande vasca, puoi beccarti le ragazze di entrambi i sensi di marcia, raddoppiando le possibilità di fare una posteggia.
Insomma, lo struscio domenicale di corso Secondigliano – con il suo codice di corteggiamento sfrontato, con la sua protervia sessista, gli abiti succinti spalmati su corpi di minorenni che un tempo nessun genitore di queste parti avrebbe permesso – è la protesi più immediata di “Uomini e donne” di Maria De Filippi, il più pedagogico e scaltrito dei programmi televisivi attualmente in voga.
Maria lo conduce dal lunedì al venerdì, nel pomeriggio, su Canale 5. Dalla sua messa in onda “Uomini e donne” non conosce pause di successo, imponendo all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica personaggi privi di talento, talvolta insulsi ai limiti del sopportabile, spingendo con forza l’idea che il peggio è il meglio. O almeno: peggio siamo, più adatti siamo ai suoi format televisivi. Da qualche parte in questo paese c’è un ventre molle grondante maschilismo, virilità da quattro soldi, donne che litigano tra loro per un maschio, che si vestono in modo ridicolo? Bene, sostiene Maria, siamo in democrazia e in democrazia anche il ventre molle – che magari sta affogando nell’immondizia, nel degrado sociale, che vive a braccetto con la criminalità, i tossici, le faide – ha bisogno di esprimersi e sognare. Maria sostiene, ma non sostiene per davvero. Lei si limita a “condurre” succhiando una mentina. Pedagogia informale, la chiamano gli esperti.
Forse è politicamente scorretto, nonché sociologicamente sbagliato, sostenere che i programmi di Maria incentivino la povertà estetica e morale dello struscio di corso Secondigliano. Forse è una pura illusione ottica la mia: uscire di casa qualche giorno dopo una puntata di “Uomini e donne” e scoprire che gli abiti di Alessandra e Constantino sono indossati da ragazzini obesi. Forse è meglio dire che Napoli tutta – e quindi anche Secondigliano – ha qualcosa a che spartire con Maria.
C’è da rimarcare come la signora De Filippi sia davvero brava a incarnare lo spirito dei tempi, non solo a capire come pensano e cosa sognano le ragazzine in attesa dello scooter giusto. Come si può facilmente accertare, Maria ha cancellato l’uso del congiuntivo dai suoi programmi, e in questa dimensione da “indicativo totale” parla alle viscere degli uomini e delle donne che hanno la bontà di guardare le sue trasmissioni. Non solo ai ragazzini dello struscio di Secondigliano, ma a tutti coloro che hanno ridotto la vita a uno struscio, all’ostentazione di un abbigliamento kitsch, del modo di camminare, degli stereotipi del corteggiamento.
“Uomini e donne” è più di un collante onirico per persone con aspirazioni riproduttive costrette a manifestarsi in un contesto difficile come la periferia nord di Napoli. Maria (e quando dico Maria intendo i programmi televisivi che conduce) non svolge solo ed esclusivamente una funzione di conoscenza sociale tipica del romanzo ottocentesco, e sarebbe quindi un errore considerarla alla stregua di una Emma Bovary postdatata per le masse. È invece un’interprete autentica del pensiero capitalista made in Italy in grado di massimizzare il proprio margine di guadagno in un contesto di arretratezza. E in cambio il contesto arretrato riceve una sponda, una legittimazione, un megafono.
A corso Secondigliano – come in tanti altri luoghi della nostra società e in diverse fasi storiche – la via d’accesso di una ragazza alla vita consiste nel trovarsi un uomo. Se la vita è tutta qui, diventare la donna di qualcuno, meglio trovarselo ricco e “fisicato”, sostiene Maria. E come darle torto. Maria sostiene, ma non sostiene per davvero. Incarna una funzione sociale di controllo. È lei Eros. È il braccio comunicativo che mescola la televisione di chi la fa alla televisione di chi la guarda, e nella quale ognuno può diventare – per citare l’insegna di un negozio d’abbigliamento al Corso Umberto I di Napoli – “Da persona a personaggio”. Insomma, a Secondigliano o da qualsiasi altra parte, è sempre meglio trovarsi un Costantino (e poi basta con questo Costantino. Con tutti i mali dell’Italia sempre a parlare di Costantino, come se il problema fosse lui. E poi, diciamolo, ci sono tronisti – Luca Dorigo, per esempio – ben peggiori).
Le puntate più seguite sono quelle in cui le donne corteggiano gli uomini, e non viceversa. Oggi noi conosciamo bene i tronisti, di meno il loro equivalente al femminile. Il meccanismo dell’identificazione è portato al massimo. Non c’è praticamente nessuno scarto culturale tra le corteggiatrici, i tronisti e il pubblico che segue da casa. E per il pubblico che segue da casa, con le sue categorie codificate, organizzate e legittimate da ciò che passa in tivù, è un gioco da ragazzi riuscire a emulare lungo quel brandello di strada la dialettica tronista/corteggiatrice (tronista in scooter/corteggiatrice gruppale) vestendosi come loro, amando come loro e – udite udite – quando viene il caldo e anche in scooter fa caldo, spogliandosi come loro. Già, perché lungo corso Secondigliano può succedere che, in una di quelle domeniche in cui la calura lo permette, qualche ardito si arrischi persino ad andare in scooter a torso nudo, al fine di far apprezzare meglio la propria tartaruga addominale, o quel maldestro e panciuto accenno di tartaruga, ché la realtà s’impone sempre come un velo pietoso sulle aspirazioni di ciascuno.
Gli addominali di Luca Dorigo non si possono copiare, perché Roma non è stata costruita in un giorno, però si può cercare di occultare la linea di confine che separa la finzione dalla realtà. È questo il trionfo di Maria De Filippi. Perché oggi persino lo spettatore più sprovveduto si rende conto che il corteggiamento di “Uomini e donne” è un gioco delle parti fasullo, che le storie sono bell’e pronte e le situazioni già combinate. Il punto è che a nessuno interessa che sia una farsa, e a questo punto potrebbe persino non esserlo più. Non importa che le storie siano vere, non importa che quella in tivù sia finzione e quella a Secondigliano sia realtà, perché entrambe giocano a imitarsi, a inseguirsi, a confondersi, a spremersi l’un l’altra secondo una logica di profitto. It’s only capitalism, but I like it.

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