Le aragoste hanno detto sì

Le ragioni dell’aragosta sono in realtà le ragioni di una cooperativa di pescatori che più che essere preoccupati per la salvezza dell’aragosta sono preoccupati per la sopravvivenza della cooperativa. Per sensibilizzare istituzioni e popolazione sul problema dello spopolamento del mare nella Sardegna occidentale viene contattata Sabina Guzzanti. La Guzzanti decide di allestire uno spettacolo per attirare l’attenzione di giornali e televisioni.
Gianni Usai, ovvero il pescatore che ha lanciato l’idea di contattare l’attrice/regista, si entusiasma immediatamente al progetto. Gianni Usai, ovvero il pescatore entusiasta, prima di fare il pescatore faceva l’operaio. Gianni Usai, il futuro pescatore entusiasta, era membro esecutivo del consiglio di fabbrica della Fiat Mirafiori e membro del Comitato Centrale del Manifesto e del PDUP fino al 1980. Quello stesso anno torna a vivere in Sardegna, a Su Pallosu, a fare il pescatore entusiasta e l’operaio deluso. Le ragioni dell’aragosta sono più che altro le ragioni di Gianni Usai.
E quelle di Sabina Guzzanti? Le troviamo nell’ostinazione con cui tenta di “raccontare l’esperienza delle persone che cercano di fare qualcosa nel vuoto della politica”. Qualcosa di concreto, senza necessariamente ottenere risultati, qualcosa di astratto (un film, ad esempio),producendo (in modo diretto, indiretto o solo propiziatorio) effetti reali: la regione Sardegna, che per la pesca stanzia mediamente un budget di 5/6 milioni di euro l’anno, nel 2007 ha stanziato ben 41 milioni di euro.
Il tentativo di fare qualcosa sposta il discorso sulla difficoltà di organizzarsi e di aggregare, sulla frustrazione e sul dubbio, sull’utilità dell’azione e sulle strategie possibili. Organizzazione, azione e dubbio, nel caso della Guzzanti, assumono la forma di uno spettacolo teatrale a sostegno di una cooperativa di pescatori, nel caso della cooperativa di pescatori assumono la forma del sostegno collettivo all’iniziativa un po’ folle di Gianni Usai, nel caso di Gianni Usai assumono la forma della lotta operaia in Fiat.
Della Fiat il film parla poco, marginalmente (esplicitando anche – in modo molto sincero – quello che è un ingenuo bisogno di collegamento fra l’esperienza vissuta a Su Pallosu e i 35 giorni dell’80). Ma ne parla. Considerata l’attualità di certi avvenimenti, fa bene a farlo. Poco importa se, come scrive il Corriere della Sera, “ il film ha lasciato una flebile traccia nelle sale italiane” e se “partito con 125 mila euro sulle ali del lancio a Venezia (è già non si tratta di una partenza indimenticabile), la settimana successiva ha replicato lo stesso incasso. Numeri decisamente modesti”.
In fondo, il giornale che recensisce una pellicola sulla base degli incassi registrati al botteghino è poi anche il giornale costretto a scrivere del referendum sul welfare in termini di mere percentuali. L’82% dei lavoratori ha detto sì, gli altri hanno detto no, in fabbrica hanno votato per il no, in banca invece hanno detto sì… senza mai entrare nel merito e senza spiegare il motivo (ammesso e non concesso che il risultato delle votazioni sia veritiero).
Il Corriere dimentica, tanto per fare un esempio, in che modo si svolsero le votazioni di ratifica dell’accordo Fiat dell’80. Ed anche quel che accadde dopo, a 3 anni di distanza. I 15.000 cassintegrati che, in base al medesimo accordo dell’80, avrebbero dovuto gradualmente riprendere il lavoro (ed invece erano ancora a spasso) ottennero che il nuovo accordo tra Fiat e Flm (rientro di 4.000 operai scaglionato nel tempo anziché riassunzione dei 15.000 entro il luglio dell’83) venisse sottoposto al voto degli interessati. Risultato delle votazioni: 2500 no, 1 sì. La Flm disse che bisognava sottoporre l’accordo anche ai lavoratori in servizio negli stabilimenti torinesi. Altro no. Allora la Flm disse che bisognava fare votare anche gli stabilimenti del sud. Magia magia, l’accordo venne approvato.
Le ragioni, di chiunque siano (delle aragoste, della Guzzanti, di Gianni Usai, del film) sono le ragioni che spingono ad agire. Le motivazioni che stanno alla base dell’impegno.
Quando le spettacolo organizzato dalla Guzzanti a Su Pallosu sta per andare in scena i protagonisti vengono presi dal dubbio. In tempi diversi e, soprattutto, per motivi diversi. E questi motivi sono sempre individuali. Individuali non vuol dire personali, individuali significa non declinati su scala collettiva.
La soluzione cinematografica è giustamente paradossale e, in parte, funzionale ad un inaspettato finale. I dubbi e le paure restano, ma la disomogeneità degli intenti e le difficoltà organizzative vengono superate dagli attori grazie all’intuizione (minima, e tuttavia emotiva e dunque aggregativa) di una necessità superiore. Siamo dalle parti del c’era una volta.
Al di fuori del contesto cinematografico la domanda è ovviamente inquietante: quali sono le ragioni profonde e condivise che permettono di organizzare (e – se del caso – smontare) il meccanismo del consenso plebiscitario attorno al vuoto della politica?
Non dimentichiamo che l’82% delle aragoste ha detto sì.

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