1 parte di Martini e 15 parti di Gin

Il titolo è esplicito: La musa di Hemingway – Memorie e tormenti di Adriana Ivancich. Il romanzo di Nicola Morgantini (pubblicato dall’editore effequ) è effettivamente questo: memorie e tormenti della musa di Hemingway, cioè Adriana Ivancich. In che senso si tratti di memorie lo si capisce dalla “nota” in premessa dell’autore: «Il romanzo è dunque costruito intorno ad alcuni elementi di verità, ma l’idea che la finzione letteraria possa ancorarsi alla realtà, e che questa, a sua volta, ne possa costituire il confine è solo un’illusione».
In che senso Adriana Ivancich sia stata la musa di Hemingway lo si scopre leggendo Di là dal fiume e tra gli alberi: «Poi le passò la mano ferita nei capelli, una volta, due volte e tre volte e poi la baciò e fu peggio che la disperazione».
Quanto ai tormenti, si tratta delle vicende intime che accadono alle grandi profondità. Morgantini non sembra interessato all’emersione biografica, alla cronaca. E il suo linguaggio non è funzionale all’aneddotica. Sicché il rapporto fra Adriana e lo scrittore va in scena sullo sfondo, a distanza di sicurezza, lontano da ogni morbosità. L’attenzione è tutta concentrata sul presente della donna, sulla continua demolizione e ricostruzione della sua individualità. Un lunghissimo campo-controcampo in cui quel presente, di spalle al lettore, si nutre del passato: dei Montgomery Martini (con i quali il romanzo condivide le dosi: 1 parte di Martini e 15 parti di Gin, rispettivamente panoramica e dettaglio), dell’incontro a bordo di una Buick azzurra, delle vacanze alla Finca Vigía. Ma nutrirsi del passato è un modo ambiguo di riviverlo. Per un verso, infatti, svuota di senso la vita Adriana – moglie e madre – per altro verso abbatte la prigione letteraria di Renata – musa di Hemingway – personaggio in fuga precipitosa “Di là dal fiume e tra gli alberi”.
E questo spiega la sensazione di avere a che fare con due persone diverse o, più precisamente, due figure che vivono su piani temporali non coincidenti. Renata vive in una contemporaneità romanzesca, Adriana in un ritardo emotivo che vuole recuperare a tutti i costi, passo dopo passo.
Da un libro che s’intitola La musa di Hemingway ci si aspetterebbe un incontro immediato con lo scrittore. Invece (e per fortuna!) bisogna aspettare la fine del secondo capitolo. E anche lì è ridotto a un semplice nome, Ernest, e una voce, dosata in quattro parole esatte. Perché?
Il fatto è questo: il disperato tentativo di rimonta sul tempo esige da Adriana uno sforzo enorme. Lei, e dunque il romanzo di cui è protagonista, possono sopportare l’ingombro umano di Hemingway solo a piccole dosi, per fulminei accenni. Che compaiono e si eclissano piuttosto velocemente.
Adriana si è appena ripresa da un periodo di depressione che l’ha portata a un collasso nervoso. Quel nome, quella voce, l’accompagnano nel brevissimo intervallo in cui appare in sincrono con la realtà, prima di perdersi in un definitivo sfasamento. È allora che il nome e la voce si trasformano in dubbi, che ogni speranza viene soffocata da ciarle avvelenate, da materiale per rotocalchi nei quali si allude, a seconda dei casi, al satiro e alla fanciulla oppure allo scrittore sedotto e alla giovane in perenne posa cinematografica.
«Scavò nella memoria per ricordare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che l’aveva vista così felice[…] Adriana invece se lo ricordava benissimo: tredici anni prima. Nel gennaio del 1965. Quando sul Corriere lesse un trafiletto che annunciava la prossima pubblicazione in Italia di Across the rivere and into the trees».
Dopo il nome e la voce, Morgantini fa balenare davanti agli occhi di Adriana i libri. Anch’essi distillati: un accenno, un trafiletto, il ricordo, l’aspettativa prima della lettura, la delusione.
Intanto Hemingway si fa sempre più presente. Adesso ha un nome, un volto, una voce, ci sono perfino le opere, eppure la sua consistenza è quella di un spettro: «Le piacque immaginarsi lo stupore di lui nel vedere quanto fosse cambiata. L’avrebbe ancora chiamata daughter? Black horse? Sarebbe rimasto senza parole, poi l’avrebbe abbracciata e avrebbe pianto». In questa condizione di impalpabilità comincia a insinuarsi nella quotidianità di Adriana, a sgretolarne via via le certezze, a offuscare quel che dovrebbe essere chiaro. E tutto viene ricondotto e paragonato a quel che avrebbe potuto essere e non è stato.
Cosa non è stato? Non è stato un grande romanzo, e lei lo sa: «Ma il romanzo non le piacque e le trasmise un senso di fastidio: Renata, la protagonista, non le assomigliava per niente». Addio alle armi è un grande romanzo, Per chi suona la campana è un grande romanzo, Di là dal fiume e tra gli alberi no, non lo è. Catherine e Maria sono muse reali. Renata è una malinconia tardiva.
Cosa avrebbe potuto essere? Nulla, o forse tutto. Il fatto che non esista una risposta rende inutile qualunque tentativo di Adriana di ricostruire, o demolire, la propria identità. Morgantini se ne rende perfettamente conto. E sa che deve tornare al bilico fra le due prospettive, lasciarle irrisolte, limitarsi ad assimilarle in “memorie e tormenti”.

Mauro Orletti

[Nicola Morgantini, La musa di Hemingway – Memorie e tormenti di Adriana Ivancich, effequ 2015]

5 commenti

  1. Rossella

    Ho letto ma a parte quel (e per fortuna!) che ti sei lasciato scappare non ero sicura….e poi ogni tanto per sviare il pubblico potresti recensire qualcosa che non ti piace, altrimenti è troppo facile.

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  2. Mauro

    Non penso sia molto interessante sapere se mi è piaciuto o no. Il libro potrebbe essere interessante ma non in linea con i miei gusti. Però hai ragione, ogni tanto, qualche bella stroncatura…

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  3. Rossella

    Sì ok ma visto che ti conosco e non siamo mai d’accordo per me è importante sapere se alla fine ti è piaciuto…anche se sui libri c’è più sintonia 🙂

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